Cedolare secca e indeducibilità del canone di locazione
a cura di paolo (0 commenti)
Premessa – La cedolare secca è un regime di tassazione facoltativo inerente ai contratti di locazione, che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali per la parte derivante dal reddito dell’immobile.
Si tratta, dunque, di una scelta, non di un obbligo, che può essere effettuata dal proprietario che concede l’immobile in locazione a terzi soggetti. I contratti per i quali è stata esercitata l’opzione per il regime della cedolare secca non sono soggetti altresì all’imposta di registro e l’imposta di bollo, dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe.
È possibile optare per la cedolare secca sia in sede di registrazione del contratto sia negli anni successivi. La scelta deve essere comunicata dal locatore al locatario con lettera raccomandata pena l’inefficacia dell’opzione.
L’opzione può essere esercitata esclusivamente per le unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa l’A10 - uffici o studi privati) locate a “uso abitativo” e per le relative pertinenze.
L’imposta sostitutiva è ottenuta applicando l’aliquota del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti.
Tuttavia l’aliquota è ridotta per i contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate: • nei comuni con carenze di disponibilità abitative (articolo 1, lettera a) e b) del dl 551/1988). Si tratta, in pratica, dei comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e dei comuni confinanti con gli stessi nonché gli altri comuni capoluogo di provincia;
- nei comuni ad alta tensione abitativa (individuati dal Cipe).
Dal 2013 l'aliquota per questi contratti è pari al 15% (D.L. 102/2013), ridotta al 10% per il quadriennio 2014-2017. Il D.L. 47/2014 ha disposto, infine, che la stessa aliquota sia applicabile anche ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali è stato deliberato, nei 5 anni precedenti la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (28 maggio 2014), lo stato di emergenza a seguito del verificarsi di eventi calamitosi.
L’affitto dell’abitazione residenziale destinata in parte a uso ufficio – Spesso accade che il professionista prenda in locazione un immobile a uso abitativo, con contratto di locazione soggetto a cedolare secca, e destini poi una o più stanze dello stesso immobile a uso ufficio. È l’ipotesi questa, ad esempio, di un avvocato che si trasferisce a Roma prendendo in affitto un’abitazione (con contratto di locazione soggetto a della cedolare secca) in cui va a vivere e in cui utilizza una o più stanze a uso ufficio.
Lo stesso professionista è tentato di portare in deduzione, dal reddito della sua attività, una parte del canone di affitto che egli paga e che ritiene attribuibile alla o alle stanze dell’abitazione che destina a uso ufficio per l’esercizio della propria attività.
Si tratta di una tentazione che il professionista deve assolutamente abbandonare, poiché come anticipato in premessa, l’opzione per la cedolare secca è esercitabile dal proprietario solo se l’immobile è destinato a uso abitativo e tale circostanza determina come conseguenza la presunzione che l’immobile non sia e non debba essere utilizzato nell’esercizio dell’attività.
Dal punto di vista fiscale, verrebbe dunque violato il principio dell’inerenza dettato dall’art. 75, comma 5, del TUIR in merito alla deducibilità dei costi legati all’attività esercitata, e il professionista sarebbe certamente suscettibile di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.